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QUALE RIPRESA?/ Piga: deficit/Pil al 9% o resteremo maglia nera d’Europa
Secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, quest’anno il Pil italiano salirà del 5,8%, per poi “rallentare” al 4,2% l’anno prossimo. Con il passare dei mesi migliorano sempre più le previsioni sulla nostra economia. Tuttavia, Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore la scorsa settimana ha evidenziato come l’Italia, prendendo come riferimento le stime della Commissione europea, sarà l’unico Paese Ue che alla fine del 2022 avrà una variazione del Pil reale rispetto al 2019 negativa.SCENARIO PIL/ L’incertezza del governo rallenta la ripresa
Professore, cambia poco il fatto che le previsioni sulla nostra economia continuino a migliorare con il passare delle settimane? Secondo l’Upb, riusciremo a tornare “su valori prossimi a quelli registrati prima della pandemia nella prima metà del 2022″…
Certamente perdere meno è meglio, ma se anche alla fine del 2022 non avessimo un Pil più basso rispetto al pre-pandemia saremmo comunque cresciuti pochissimo rispetto al 2019. Non dobbiamo dimenticare che se l’Italia cresce di più non è che il resto d’Europa nel frattempo resta fermo. Se quindi le previsioni dell’Upb si verificassero, si attenuerebbe una sconfitta che di certo non verrebbe cancellata e che non è accettabile, economicamente e politicamente.RIPRESA?/ Fortis: ecco perché l’Italia volerà nel 2022
A cos’è dovuto il risultato così deludente dell’Italia rispetto al resto d’Europa?
Mi sembra che la risposta a questa domanda possa emergere dal confronto con la Spagna, colpita duramente dalla pandemia come noi: ridurrà della metà dell’Italia il suo deficit/Pil, ottenendo di conseguenza due punti percentuali in più di crescita economica, che l’aiuterà a mettere in sicurezza il proprio rapporto debito/Pil. Dunque credo che il risultato così deludente della nostra economia si possa totalmente o in gran parte spiegare con la manovra che si farà per il 2022. Nel Def di aprile è stato infatti previsto che il deficit/Pil scenda dall’11,8% al 5,9% in un solo anno.DAL COVID AL GREEN/ Le minacce alla ripresa e le armi spuntate delle Banche centrali
Questa discesa è dettata anche dalla necessità di contenere un debito pubblico che ha ormai raggiunto il 160% del Pil.
Vuol dire allora che perseveriamo diabolicamente con l’idea che il rapporto debito/Pil si abbatte riducendo il deficit invece che con una maggior crescita. Questo errore lo abbiamo già commesso altre volte in passato e a mio avviso è drammatico ripeterlo ora in una situazione così straordinaria.
Di fatto si fa austerità sapendo che si dovrà tornare alle regole del Patto di stabilità così com’erano?
Da una parte, si continua a parlare di revisione delle regole del Patto di stabilità e del Fiscal compact, dall’altra vediamo invece che l’Italia da due anni a questa parte inserisce nel Def l’obiettivo del pareggio di bilancio primario e del deficit/Pil al 3% in tre anni. È un gioco di rimbalzi di cui il settore privato non ha proprio bisogno. Gli operatori economici necessitano di certezze, invece c’è una confusione che alla fine vede sempre l’Italia impossibilitata a mettere in campo le politiche fiscali necessarie per far finalmente ripartire la crescita e abbattere così il rapporto debito/Pil.
L’Italia, quindi, si comporta come se le regole non dovessero cambiare, come se il dibattito su una loro modifica fosse già destinato al fallimento.
Esattamente.
Questo non rischia di essere un regalo ai “sovranisti” che si pensava sconfitti dopo lo scoppio della pandemia e l’approvazione del fondo Sure e del Recovery fund?
È per questo che prima ho parlato di una sconfitta inaccettabile politicamente, perché l’economia è politica. Si stanno prendendo rischi enormi in un momento politicamente delicato per l’Italia: siamo entrati nel semestre bianco, nel 2022 ci sarà l’elezione del Presidente della Repubblica, con il rischio poi di un voto anticipato. In Europa si è già giocato col fuoco con la Brexit e ci siamo bruciati, ora l’Italia è come un cerino acceso su un lago di benzina. Può darsi che ci dica bene, che arrivi un soffio di vento che spenga il cerino o che questo caschi poco lontano dal combustibile, ma il compito degli economisti resta ricordare in tempo quali sono i rischi, non prevedere esattamente quello che accadrà. Tra l’altro oggi (ieri per chi legge, ndr) ho notato una cosa interessante sui giornali.
Di che cosa si tratta?
Monti, in un articolo sul Corriere della Sera, scrive, tra le altre cose, che “nel dicembre 2011 il Presidente Draghi chiese il fiscal compact per una più stretta disciplina sul disavanzo e sul debito pubblico di ogni Paese”, che il Governo Berlusconi accettò l’imposizione di Trichet e del suo successore al nostro Paese, e solo a esso, di anticipare il pareggio di bilancio dal 2014 al 2013 e che poi il suo esecutivo “chiese che, a fronte della manovra subito programmata, venisse consentita un’attuazione meno brusca, con l’obiettivo del pareggio riportato al 2014. I presidenti della Commissione europea e del Consiglio, consultati in via riservata, risposero di no: l’annuncio di un rientro meno veloce di quello imposto dalla Bce sarebbe stato preso malissimo dai mercati, il rischio default si sarebbe ripresentato”.
Cosa la colpisce di quanto scritto dall’ex Premier?
A parte il fatto che si parla di una Bce che chiede il Fiscal compact, Monti scrive di una richiesta di rinvio del pareggio di bilancio negata per i timori di un rischio default. La cosa che più colpisce è che questa logica tremenda non è purtroppo scomparsa, ma è rimasta e ci accompagna in un periodo peggiore rispetto a quello di dieci anni. Agli anni citati dall’ex Premier se ne potrebbero aggiungere dieci e il risultato sarebbe uguale: anche oggi come allora sembra impossibile poter ritardare il pareggio di bilancio.
Ha citato la Bce, che oggi sembra invece spingere per una politica espansiva, anche dal punto di vista fiscale.
Posto che in questi anni la politica monetaria ha mostrato chiaramente i suoi limiti, in particolare poi quando i tassi sono a zero è difficile andare oltre e comunque quando gli operatori sono pervasi dal pessimismo non prendono a prestito neanche a tassi bassi, a me sembra che l’approccio della Fed sia ancora abbastanza morbido malgrado la crescita maggiore degli Stati Uniti, mentre all’interno della Bce ci sono dei mal di pancia, espressi in particolare dai rappresentanti dei Paesi austeri, che non fanno presagire nulla di buono. Non credo comunque sia opportuno focalizzarsi sulla politica monetaria perché non ritengo che sia lì il problema. Il problema è a Bruxelles, non a Francoforte.
Il primo passo per un cambiamento della politica fiscale deve essere italiano?
Draghi deve chiedere a Bruxelles per il 2022 un deficit/Pil vicino al 9% e non al 6%. Sa cosa c’è di paradossale in tutto questo?
Cosa?
Che anche senza che Draghi chieda qualcosa all’Europa, probabilmente l’anno prossimo ci ritroveremo ad aprile a leggere nel nuovo Def una previsione del deficit/Pil per il 2022 al 9% e un rinvio del 3% dal 2024 al 2025.
In fin dei conti quello che lei auspica…
Nient’affatto! Occorre comprendere una volta per tutte il ruolo cruciale delle aspettative: le dichiarazioni dei politici influenzano i comportamenti del settore privato. Non è la stessa cosa dire che si farà decrescere il deficit al 6% del Pil e poi veder rivisto questo obiettivo l’anno dopo o invece dire già da subito che il deficit/Pil verrà ridotto al 9%. Sono due cose immensamente diverse, perché gli imprenditori devono pianificare e devono essere pervasi da ottimismo e ciò avviene se si resta espansivi finché non si esce dalla crisi. Non si può sostenere che siccome la pandemia sta per finire dobbiamo tornare al business as usual. Sarebbe come far uscire dall’ospedale una persona investita da un tir subito dopo gli interventi necessari a curare ferite e fratture, anziché tenerla ricoverata con una lunga terapia per farla tornare a camminare come prima. L’Europa continua a essere come minimo miope se non incompetente o qualcos’altro.
Dunque se si vuol cambiare rotta per prima cosa bisogna intervenire con la Nadef per cambiare il dato sul deficit/Pil del 2022?
Sì, ma lei sa benissimo come andrà a finire. Non vedo motivi per i quali Franco o Draghi dovrebbero cambiare tale dato.
Nemmeno se ci fosse un’altra ondata di contagi Covid?
Ma ci mancherebbe! In quel caso le direi che il deficit/Pil va lasciato vicino al 12% e non ridotto al 9%. Chiariamoci: il 9% è solo nel caso il Covid non tornasse. Purtroppo si continua a reagire e non a pianificare. Reagire va benissimo, e il Governo l’ha fatto anche nel 2021 lasciando alto il deficit su Pil, ma si prosegue nel non pianificare. Per questo continuiamo a essere il Paese europeo che cresce meno, che si riprende meno di tutti gli altri. Da italiano è inaccettabile, è umiliante vedere per l’ennesima volta il proprio Paese maglia nera della ripresa europea. Si chiaro, qui non c’entrano niente le riforme, a essere mancanti sono le politiche economiche adeguate, il sostegno all’economia dato dalla domanda pubblica.
È paradossale parlare di maglia nera quando invece nelle ultime settimane, complici le previsioni sul Pil del 2021, mediaticamente l’Italia è presentata come tra i migliori Paesi in Europa, se non quella che cresce più degli altri.
Certamente. Dovremmo forse accorgerci che continuiamo ad avere uno spread sui titoli di stato, che cioè siamo considerati ancora il Paese più rischioso d’Europa. Questo perché non riusciamo a convincere il resto del mondo che resteremo all’interno del progetto europeo al 100%. Si era detto che occorreva l’austerità per sistemare le cose: è durata 10 anni e siamo ancora qui con lo spread alto. È quindi necessario provare ad attuare finalmente una soluzione diversa per rimanere nell’euro.
Il rischio è quello di vedere l’Italia uscire dall’euro?
L’effetto del cerino sul lago di benzina di cui parlavo prima è l’uscita dall’euro. Io ci voglio rimanere, perché penso che uscirne non farebbe altro che decuplicare i problemi.
(Lorenzo Torrisi)
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