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REGOLAMENTO RECOVERY FUND/ Un altro tassello per guidare l’Italia da Berlino o Parigi

REGOLAMENTO RECOVERY FUND/ Un altro tassello per guidare l'Italia da Berlino o Parigi

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REGOLAMENTO RECOVERY FUND/ Un altro tassello per guidare l’Italia da Berlino o Parigi

Mentre in Italia si metteva a punto una nuova bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza per cercare di risolvere una crisi di Governo, lunedì a Bruxelles le commissioni per gli Affari economici e per il Bilancio del Parlamento europeo approvavano il regolamento della Recovery and Resilience Facility apportando delle modifiche che hanno spinto Lega e Fratelli d’Italia a scegliere di astenersi, in particolare per il richiamo a condizionalità che potrebbero portare alla sospensione dell’erogazione delle risorse del Recovery fund per quei Paesi che non si dovessero impegnare sufficientemente nella riduzione del deficit di bilancio. Per Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, la lettura del regolamento «corrobora una serie di elementi emersi a livello sommario negli scorsi mesi e che avevamo già avuto modo di evidenziare».
Di quali elementi si tratta?
Il primo è che con questo regolamento si acclara il ruolo della Commissione quale fulcro per la formulazione, il finanziamento e la valutazione delle politiche economiche strutturali dei Paesi membri. Si tratta di un aspetto importante che segna una forte discontinuità, perché di fatto la Commissione amplia in modo considerevole il suo raggio di azione. Il secondo elemento riguarda le condizionalità che non possono non esserci quando si parla di prestiti internazionali o di grants, cioè risorse a dono, fornite nell’ambito di un meccanismo internazionale. Non è quindi un problema in sé che un prestatore voglia avere delle garanzie. Il punto semmai è che in Italia il dibattito su queste condizionalità viene sottaciuto o ridotto al tema del rispetto dello Stato di diritto quando va ben al di là di ciò. Siamo di fronte infatti a una condizionalità che opera a diversi livelli.
Può spiegarci a quali livelli opera?
Un primo livello è quello relativo alle aree di intervento finanziate, ovvero la transizione digitale e “verde”: è nell’ambito di esse che vengono poi valutati i progetti presentati da ciascun Paese membro. C’è poi una condizionalità legata al monitoraggio, tempo per tempo, del raggiungimento di “milestones and targets”, come dice testualmente il regolamento, rispetto al quale ogni Paese si obbliga a fornire una rendicontazione trimestrale. La Commissione valuterà poi la coerenza dell’avanzamento dei lavori rispetto a una batteria di indicatori e potrà, nel caso ritenga vi siano degli scostamenti, anche temporali, tra i progetti e la loro effettiva realizzazione, sospendere i finanziamenti, anche nella componente dei grants. Credo che sia opportuno aver presente tutto questo dal momento che nel dibattito pubblico italiano sul Recovery fund non se ne fa menzione.
Ma, come ammette anche lei, è normale che in un prestito vi siano delle condizionalità…
Certo, ma il mio timore è che oltre alle condizionalità esplicite ce ne saranno inevitabilmente altre “oblique” legate a un generale indebolimento del potere contrattuale del nostro Paese in sede comunitaria di cui avevo parlato in una precedente intervista. Una volta che le regole del Patto di stabilità torneranno in vigore, l’Italia rischia di non poter disporre della flessibilità necessaria per fronteggiare le conseguenze economiche e finanziarie di questa crisi senza precedenti. Stiamo parlando di un qualcosa che potrebbe avvenire non molto lontano nel tempo, ma già l’anno prossimo. Questo è chiaramente un aspetto che esula dal perimetro del regolamento in quanto tale, ma che è inevitabilmente associato dal punto di vista politico all’introduzione del regolamento stesso.
Il regolamento, all’articolo 9, dice che si potrà proporre la sospensione dell’erogazione delle risorse quando si ritenga che un Paese non stia portando avanti un’azione efficace per ridurre il proprio deficit “eccessivo”. Questo non sembra avere nulla a che fare con l’avanzamento dei progetti che verranno selezionati.
Tale condizionalità, sempre soggetta al vaglio della Commissione e del Consiglio europeo, rappresenta un ulteriore tassello alla creazione di un sistema organico volto a restringere in ogni modo i residui margini di scelta dei Paesi membri, in particolare dell’Italia che sconta una serie di fragilità economiche, ormai cumulate da lungo tempo, che inevitabilmente peseranno nella ripresa post-Covid. Con questo regolamento, quindi, aumenta la discrezionalità delle autorità europee e la loro capacità di esercitare pressione in più ambiti, come mai era avvenuto.
In buona sostanza non ci potrà mai essere chiesto di adottare una specifica ed esplicita misura di politica fiscale o economica, ma nel momento in cui è necessario ridurre il deficit per non perdere le risorse del Recovery fund è chiaro che non si ha molta scelta: o si taglia la spesa o si alzano le tasse.
Esattamente. E questo chiaramente riduce sensibilmente il margine negoziale già contenuto di cui l’Italia avrebbe potuto disporre. Siamo quindi di fronte a un sistema di condizionalità articolato su più livelli che si estende in ambiti molteplici, anche non di stretta pertinenza rispetto a quelle che sono le legittime salvaguardie di cui le autorità europee vogliono che questo fondo si doti e che rientrano in una strategia più ampia di condizionamento indebito delle scelte di un Paese europeo importante come l’Italia.
In questo senso è utile allora capire meglio quello che diceva all’inizio sul nuovo ruolo della Commissione europea.
Come dicevo prima, la Commissione si acclara come un soggetto finanziatore sistemico dell’economia europea nel suo complesso e quindi in grado di dispensare condizionalità sulla base di decisioni che sappiamo essere prese in forza di quello che è l’orientamento di uno o due Paesi…
Finora il massimo a cui si poteva andare incontro era una procedura d’infrazione. Cosa cambia da questo punto di vista?
Nel mondo pre-Covid la Commissione giocava un ruolo da arbitro, estraendo nel caso dei “cartellini gialli” come elemento di dissuasione verso i Paesi fiscalmente devianti. Ora, nel mondo post-Covid, la Commissione, disponendo di un portafoglio estremamente cospicuo e senza precedenti, avrà il ruolo di finanziatore di politiche economiche strutturali che le fornirà ulteriore trazione nell’imporre il rispetto di parametri fiscali che mai come oggi sono completamente fuori dalla realtà. Non avrà più solo una capacità di dissuasione, ma potrà, agendo sul Consiglio, interrompere l’erogazione di fondi che sono cospicui. È chiaro quindi che alcuni Paesi membri dovranno ancor più diligentemente eseguire le indicazioni di Bruxelles, anche nella forma di semplici consigli che verranno dispensati, proprio per non rischiare conseguenze critiche per le proprie economie che sono già in difficoltà.
Tra l’altro nel regolamento si parla solo di deficit eccessivo e non di altri squilibri macroeconomici come, per esempio, un surplus commerciale superiore a una certa soglia.
Questo rafforza quanto sto spiegando: siamo di fronte a un sistema pensato per mettere sotto pressione alcuni Paesi più di altri. Non va dimenticato che nelle previsioni del Fondo monetario internazionale si stima che lo squilibrio della partite correnti della Germania si attesterà tra breve su livelli analoghi a quelli pre-Covid. Questo in qualche modo fa intendere che gli estensori dell’articolo 9, come di altre parti del regolamento, abbiano avuto in mente qualche Paese più di altri.
Considerando che il Recovery fund è alimentato dai contributi dei Paesi membri al bilancio europeo e da specifiche imposte che dovranno essere messe a punto, l’Italia rischia di versare molto e non ricevere poi nulla?
Potrebbe effettivamente accadere. Al di là dell’asimmetria con cui le condizionalità sono state concepite (e sarà interessante verificare, poi, come saranno applicate, se in alcuni Paesi lo saranno più di altri), resta il fatto che l’Italia sta dimostrando ancora una volta di essere un azionista importante che contribuisce in maniera significativa all’Ue, eppure persiste la tendenza a relegarla nel gruppo dei “Paesi cattivi”.
Di fronte a questa situazione all’Italia non resta che sperare che il supporto della Bce prosegua…
L’Eurotower, pur partendo da obiettivi diversi, come il contrasto alla deflazione e la salvaguardia del meccanismo di trasmissione della politica monetaria, ha fornito e sta fornendo un supporto straordinariamente importante per fronteggiare le conseguenze macroeconomiche della pandemia. Se l’ha potuto fare non è solo per la leadership mostrata dalla sua Presidente, ma anche perché la crisi ha colpito i Paesi in modo simmetrico. Nella misura in cui lo scenario post-Covid, come probabilmente accadrà, tenderà a diluire questo effetto simmetrico, per la Bce diventerà difficile giustificare un intervento accomodante senza precedenti come quello che sta portando avanti. L’Italia rischia quindi di trovarsi “scoperta” quando ancora non sarà riuscita a riparare gli effetti più distruttivi della crisi a livello economico e sociale.
A livello politico, dopo il voto delle commissioni dell’Europarlamento, si è arrivati ad accomunare il Recovery fund e il Mes. Lei cosa ne pensa?
Naturalmente parliamo di due contesti istituzionali distinti sia dal punto di vista giuridico che della loro operatività. C’è però un elemento di sostanza che li accomuna: l’utilizzo della condizionalità come strumento per influenzare e mettere sotto pressione politica i Paesi beneficiari, soprattutto alcuni più di altri.
(Lorenzo Torrisi)

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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