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SPY FINANZA/ il +740% di Tesla e la domanda sullo short per il 2021
The short killer. Se qualcuno avesse ancora avuto dubbi sul carattere di vendicatore del mercato dalle scorrerie dei ribassisti di Elon Musk è stato servito nell’ultima giornata di contrattazione dell’anno. Con gli interessi. Passivi, quantomeno per chi è rimasto troppo a lungo sul lato sbagliato del trading: come mostra questo grafico, forte del suo +740% nel corso del 2020, il titolo Tesla ha indirettamente inflitto a chi gli scommetteva contro perdite di mercato pari a 38 miliardi di dollari. E a far impressione è la magnitudo del distacco della creatura di Elon Musk dal secondo classificato fra i castigatori di short-sellers: Apple con “soltanto” 7 miliardi di mark-to-market loss affibbiata ai suoi detrattori.
E che quanto accaduto sia epocale, lo dimostra questo altro grafico, il quale mostra non solo il tracollo dello short interest contro Tesla – passato da oltre il 20% di inizio anno all’attuale 6% -, ma anche la cavalcata sopra quota 700 dollari posta in essere dal titolo il 31 dicembre. Oltre e soprattutto alle parole di Ihor Dusaniwsky, managing director di S3 Partners, l’azienda che traccia i flussi delle scommesse finanziarie: “Quella che abbiamo appena registrato non è stata soltanto la più grande perdita su un singolo titolo per quest’anno, bensì la maggiore di sempre”.
E se Elon Musk può sorridere al nuovo anno, forte del suo pacchetto azionario del 18%, il rally innescato lo scorso marzo dalla discesa in campo della Fed ha di fatto aperto un vulnus che rischia di diventare strutturale: quello a cui abbiamo assistito nell’anno appena concluso, infatti, ha rappresentato il più grande short squeeze della storia, al netto dei titoli più soggetti a scommesse ribassiste che nell’insieme hanno segnato qualcosa come il +207%, obbligando a sistemiche e sempre più massive chiusure forzate di posizioni. Massimo assoluto da quando vengo tracciate le serie storiche.
Lo short selling è ufficialmente morto? Apparentemente, sì. Non foss’altro per due ragioni. Primo, quanto accaduto ha imposto al mercato la sua legge, a suon di rialzi: mai andare contro la Fed. Secondo, proprio la Fed ha di fatto confermato il suo impegno rispetto al controvalore di acquisti – 120 miliardi al mese – e lasciato intendere che la sua scelta di non implementazione di dicembre nasconde – in realtà – la volontà di mantenere nell’arsenale qualche arma in più per la primavera, se necessaria. Il trend pare segnato.
Party like 2009?, come dicevamo nel mio articolo di ieri dedicato al rischio parallelo e contemporaneo dell’esplosione speculativa e di valutazione di Bitcoin? In quel caso, premio Braveheart a chiunque intenda rischiare la ghirba scommettendo al ribasso. Ma attenzione a quanto mostrano questi altri due grafici, il primo dei quali conferma come i cinque principali titoli presenti sullo Standard&Poor’s 500 abbiano raggiunto negli ultimi mesi un peso sul totale dell’indice senza precedenti, il 25%. Ora che anche Tesla è entrata a far parte del gotha di Wall Street, al netto del vulnus sulla volatilità implicita, quanto rischio incorpora una dinamica simile, nonostante la Fed in servizio effettivo e in missione permanente per conto del Dio profitto?
Siamo forse di fronte a un pericoloso chicken game come in Gioventù bruciata (o, per i più giovani, in Footloose), ovvero una gara a chi si getta prima dall’automobile in corsa, fra rialzisti senza redenzione e ribassisti a oltranza e in odore di masochismo? Molto pericoloso. Non fosse altro perché riduce il margine di errore nelle scelte politiche della Fed praticamente a zero. Il secondo grafico, invece, mostra come per ogni dollaro di inflow sugli indici azionari statunitensi, 6,6 centesimi vadano su titoli Tesla. E attenzione, perché se le posizioni dalla 2 alla 5 riguardano i titoli sopracitati e che praticamente hanno retto da soli lo Standard&Poor’s 500 nel 2020, ecco che la sesta è appannaggio di Boeing. Ovvero, una vera e propria mina vagante. Non solo per i conti disastrati, lo stock debitorio immane, il downgrade del rating a junk dello scorso marzo e il conseguente salvataggio da parte della Federal Reserve con acquisti di bond su valutazione di merito ex ante, bensì per il fatto che le fortune eventuali del titolo si basano quasi totalmente sul leverage del vaccino anti-Covid e la sua capacità di normalizzazione dei trasporti internazionali, del turismo e degli spostamenti business.
Non parliamo poi di Alibaba, al netto della crociata anti-trust delle autorità cinesi contro la finanziaria facente capo a Jack Ma, dopo averne di fatto sabotato il collocamento. Davvero, ragionando razionalmente da investitore e non in base al riflesso pavloviano da new normal imposto dalle Banche centrali, un titolo come Boeing non meriterebbe un pensierino short, ad esempio? Qualcuno avrà il coraggio di restare sul sedile dell’auto, guardando l’approssimarsi del burrone di altre perdite su scommesse ribassiste e sperando che sia la bolla da sovra-valutazione a lanciarsi per prima, scoppiando? Chissà. Una cosa è certa, al netto del volume letteralmente esploso del trading-on-line da parte di clientela retail nel 2020: nel caso gli short-sellers meditassero vendetta e dovessero trovare soddisfazione in un mercato ormai totalmente privo di hedging dal rischio (e quindi iper-sensibile a ogni possibile scostamento), sappiamo già chi resterà con il cerino in mano. A fortissimo rischio di ustione di terzo grado.
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