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Tasse famiglie, +46 mld di euro in 10 anni/ Pressione fiscale record, cresce povertà

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Tasse famiglie, +46 mld di euro in 10 anni/ Pressione fiscale record, cresce povertà

Nonostante proclami vari dei governi, le tasse continuano ad aumentare e negli ultimi dieci anni è stato calcolato che la pressione fiscale sulle famiglie è crescita di ben 46 miliardi di euro. A partire dal 2011, come riferisce Il Corriere della Sera, il Prodotto Interno Lordo è cresciuto di soli 2.8 miliardi, mentre le tasse, come detto sopra, quasi di 20 volte. A certificarlo è il Consiglio e la Fondazione nazionali dei commercialisti, che ha censito come ben 333mila famiglie, il 20% in più rispetto al 2019, siano precipitate a causa della pandemia «nell’area della povertà assoluta», colpa anche delle tasse, il cui peso non è cambiato.BORSA ITALIANA OGGI/ Chiusura a -0,33%, Bper a -3,22% (16 luglio 2021)
Durante il 2020, infatti, «la pressione fiscale generale pari al 43,1%, è aumentata di 0,7 punti di Pil, mentre quella delle famiglie, pari al 18,9%, è cresciuta di 1 punto di Pil». Nel corso dell’ultimo decennio, nel contempo, si sono erosi fortemente anche i guadagni, in quanto, «dal 2003 al 2018, il reddito medio in termini reali ha perso l’8,3% del suo valore», ed inoltre si è incrementato il divario fra nord e sud (+ 1.6%), arrivando ad un -478 euro al mese. Crisi che viene evidenziata più duramente per quanto riguarda il reddito da lavoro autonomo, dove la perdita in termini reali è stata del 28.4%, così come specificato sempre nel dossier dei professionisti.SPY FINANZA/ Fuga delle imprese e guai industriali che l’Italia del Ddl Zan non vede
TASSE DA RECORD, +46 MILIARDI IN DIECI ANNI: “FAMIGLIE PAGANO COSTO SALATISSIMO”
Tornando al divario fra il nord e il sud della nostra penisola, è stato calcolato che nel Mezzogiorno la spesa mensile media di una famiglia nel 2020 è stata pari al 75.% rispetto a quella di una che vive al nord, leggasi 1.898 euro contro i 2.522, e ciò significa che al sud si spende un quarto al mese in meno rispetto al nord, ma per via degli stipendi più bassi. “Appare, perciò, «evidente» come i nuclei della Penisola – spiega il presidente dei commercialisti Massimo Miani – su cui grava il peso dell’Irpef, hanno pagato e continuano a pagare un conto salatissimo a causa degli squilibri macroeconomici e di finanza pubblica del nostro Paese, visto che la principale imposta italiana, includendo anche le addizionali locali, nel 2020 ha raggiunto il livello di 191 miliardi, pari all’11,6% del Pil».
LEGGI ANCHE: UE TASSA LA CO2/ Il promemoria di Australia e Usa sul destino dell’industria europea
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