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TRACCIATURA MOVIMENTI CONTANTI/ Chi ha il potere di sbirciare nei nostri conti?

500 euro banconote pixabay

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TRACCIATURA MOVIMENTI CONTANTI/ Chi ha il potere di sbirciare nei nostri conti?

Mentre la stampa audiovisiva per giorni, con l’enfasi dello sbarco sulla Luna, ha seguito in presa diretta la nascita di un semi-nuovo governo, quella scritta segnala novità ed eventi che offrono spunti importanti. Così in questi giorni si è parlato, nel campo delle norme basilari sull’uso della moneta, della regola che impone la tracciatura dei movimenti in contanti che, anche se frazionati, raggiungano il tetto di 10mila euro per singola persona in un mese.
La notizia è passata con un eccesso di sottolineatura del soggetto Banca d’Italia, come se questa fosse l’autrice, l’ispiratrice, l’inventore di una nuova regola per scovare i cattivi e sconfiggere il male. Oppure, nell’altra visione, la bizantina produttrice di lacci e lacciuoli, come diceva qualcuno, per ostacolare gli uomini del fare, le attività e le transazioni.
In realtà, la nuova regola è frutto di una combinazione di fonti e di contesti molto varia e anche risalente. A titolo di mera osservazione storica, la genesi di queste procedure di controllo si collega di più al contesto delle collaborazioni internazionali, come i FATCA dei severissimi – a casa degli altri – americani, gli accordi di matrice Ocse sull’AEOI (lo scambio automatico delle informazioni fra le autorità nazionali, sugli stranieri che detengono o movimentano ricchezza e capitali) e il grande, supremo mantra dell’Antiriciclaggio (AML nell’acronimo inglese). Quindi dietro queste piccole novità, peraltro graduali e annunciate, non c’è il fertile ingegno di qualche burocrate finanziario, ma la costruzione di un sistema di regole per quanto possibile uniformi e diffuse, per contrastare frodi, evasione, illegalità. Con alle spalle pile di libri e di buona ricerca che spiegano quanto vada meglio a tutti se crescono – su base globale – l’affidabilità, la reputazione, la tracciabilità e la trasparenza.
Quindi la norma dei 10mila euro di contante transitato in un mese tramite una persona – che, sia chiaro, non genera una segnalazione di cosa sospetta, ma segue solo la strada di un’annotazione da conservare e archiviare – non ha nulla di speciale. E obiettivamente, se non si è titolari di una trattoria in Piazza del Colosseo, non è una cosa normale maneggiare tanto contante.
Quello che però, e proprio in sincero ossequio a questo afflato ragionevole e positivo, manca in Italia è la trasparenza sull’altra parte del cielo. Su chi gestisce, detiene, agisce, in base a questi dati e archivi. Nel 2018, per esempio, apprendiamo di 93mila segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio. Si riesce a controllarle bene? Quante ne sfuggono a una verifica approfondita e proficua? Ci sono casi all’opposto in cui è scappato di mano qualche provvedimento rivelatosi poi ingiusto, che ha ostacolato o intralciato vite o imprese?
Così per esempio oggi, dopo anni di rodaggio e di data entry (afflusso di informazioni), è in funzione un cervellone potentissimo che contiene per ciascun contribuente i dati annuali e infra-annuali su conti correnti (e rapporti assimilabili), massimali movimentati, saldi iniziali e finali, senza che sia davvero chiaro chi può accedervi e per fare cosa. Dicasi la lista con i nomi, i cognomi e gli indirizzi di tutti quelli che da soli o frazionati (come i 10mila euro mensili) possono andare a sbirciare il dettaglio dei rapporti finanziari di ciascuno. Perché il livello di penetrazione di queste informazioni non è più tale da permettere quattro parole imbonitrici, cioè l’identificazione della categoria dei soggetti abilitati (i funzionari di x livello, di x strutture). Occorre la lista completa con nomi e cognomi, cointeressi anche familiari, poteri e relazioni organiche di ciascuno che abbia il potere di accedere a quelle informazioni.
Occorre, cioè, cominciare a ridisegnare completamente il rapporto fra il Potere fiscale e tributario e la platea dei suoi utenti. A cominciare dalla prassi intollerabile e unica al mondo del potere di emanare circolari attuative o direttive che decidono per un verso o per l’altro il senso di una legge, prevalendo su di essa.
In secondo luogo, eliminando lo stadio giurisdizionale endogeno per cui è quel Potere a decidere in prima istanza contro se stesso. Insomma, le regolette ragionevoli che iniziamo ad applicare, come fanno gli altri, gridano sempre più l’esigenza di un paese mediamente civile. In questo siamo certamente sotto la soglia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA


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