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TRASPORTO AEREO/ La ripresa Usa e la “nuova Fenice” fallimentare di Alitalia
Siamo a Natale e l’anno probabilmente più drammatico vissuto dal mondo intero dalla Seconda guerra mondiale ai nostri giorni si sta per concludere. Le conseguenze economiche sono e saranno rilevanti anche dopo che i vaccini avranno iniziato a produrre gli effetti in cui tutti speriamo.
Il gap che a seguito della pandemia si è venuto a creare tra differenti modelli di business a mio avviso avrà conseguenze certe e per certi versi imprevedibili sulle strutture macroeconomiche dell’intero pianeta, così come anche gli equilibri economici tra i cosiddetti Paesi industrializzati muteranno notevolmente. L’appello di Mario Draghi durante i recenti lavori del G30 è certamente la conseguenza dello scenario appena descritto, ove l’instabilità economica finanziaria per noi europei è acuita anche dall’avere al momento un moneta apprezzata oltre misura sul dollaro che non sarà certo di aiuto sulla nostra bilancia commerciale e che inoltre evidenzia che la politica monetaria della Bce si sta mostrando miope e orientata verso l’acquisizione di debito sovrano, piuttosto che lungimirante e orientata verso un reale piano di espansione della base monetaria. Ecco, quindi, che il fixing dollaro/euro alimentato dalla speculazione finanziaria prodotta dal rendimento atteso sulla parità scoperta dei tassi di interesse sta oltremodo penalizzando l’economia del Vecchio continente.
Non è un caso che nell’industria del trasporto aereo settore in cui la parità dei tassi scoperti ha un’incidenza notevole, assistiamo a quattro differenti scenari:
1) Nel Nord America il trasporto aereo è in decisa ripresa e i processi di adeguamento del work design interno delle aerolinee allo scenario di mercato post-pandemico è in corso potendo anche contare su una politica monetaria realmente espansiva della Fed e sulle risorse monetarie distribuite alle imprese e quindi anche alle aerolinee attraverso l’helicopter money che sta agendo da stimolo alla ripresa del settore.
2) Lo scenario in Asia è molto influenzato dalla Cina ove ormai la ripesa dei voli è praticamente completata e si sta ritornando al numero dei voli operati nel 2019. Le aerolinee cinesi, inoltre, beneficiano nell’avere delle flotte cargo già consolidate negli anni che sta consentendo loro di poter far fronte all’impennata della domanda che ha caratterizzato il settore cargo come conseguenza della pandemia. In effetti, l’esplosione della domanda relativa alle merci è strettamente correlata alla notevole riduzione dei voli passeggeri e quindi al venir meno delle stive dedicate alle merci all’interno di tali voli.
3) In Medio Oriente, con particolare riferimento agli Emirati, la situazione è diametralmente opposta. Le tre compagnie del Golfo che negli anni hanno potuto coprire le loro ingenti e croniche perdite gestionali con i soldi del petrolio come nel caso di Qatar ed Etihad e con le entrate turistiche per quanto riguarda Emirates, oggi si trovano in enormi difficoltà e dopo anni di espansione spesso non legata ad alcuna strategia coerente con il modello di business, oggi sono costrette a notevoli ridimensionamenti o a puntare tutte le loro energie sul cargo, non potendo tra l’altro neanche contare più sulla politica di hub & spoke che ha caratterizzato la loro strategia di espansione dissennata. Emirates, che è stata capace negli anni di costruire un buon segno di valore legato al proprio marchio attraverso ingenti investimenti in sponsorizzazioni, ha licenziato migliaia di piloti e certamente dovrà integralmente rivedere la propria politica di marketing. Credo che il “merger” con Etihad sia non più procrastinabile, considerando che vi è in gioco la stessa sopravvivenza delle due aerolinee.
4) In Europa vi è stato un vero e proprio terremoto dove non è un caso che i due player che allo stato stanno traendo vantaggio nel consolidare la loro posizione di mercato siano le due aerolinee che per distacco beneficiano della migliore gestione manageriale: Ryanair e Wizzair. Sia Lufthansa che il gruppo IAG, così come la stessa Air France, che hanno sempre potuto contare sulla loro soglia dimensionale per abbattere il livello di resilienza dei costi fissi, oggi, a seguito del crollo del mercato, fanno i conti con l’esplosione al loro interno delle inefficienze tipiche delle strategie di aggregazione che, è scientificamente provato, nel trasporto aereo non hanno mai portato benefici. E non è un caso che i numerosi “merger” a cui il mercato ha costretto negli anni le aerolinee statunitensi si sia sempre sviluppato attraverso un processo di fusione per incorporazione e mai per aggregazione. Quest’ultimo a fronte di un apparente vantaggio iniziale in termini di economie di scala sui costi fissi, in realtà, si è sempre rivelato nel medio periodo essere un fattore critico rispetto a livelli accettabili minimi di efficienza ed efficacia dei meccanismi di processo interni, soprattutto oggigiorno dove l’allineamento e la digitalizzazione dei sistemi di gestione e controllo è diventato fattore esiziale per beneficiare di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. L’esempio più calzante lo troviamo in Lufthansa, che oggi fa i conti con aggregazioni implementate analizzando solo le quote di mercato e quindi i ricavi e non gli effetti ovvero il delta del rapporto incrementale tra costi e ricavi conseguente a tali aggregazioni.
Nello scenario mondiale sin qui descritto si interseca nel nostro Paese quella che ormai possiamo definire a pieno titolo come una vera e propria “commedia farsesca” che da ormai 4 anni vede protagonisti i governi succedutisi da aprile 2017 a oggi alle prese con quella che fu la compagnia di bandiera italiana. Riportare qui tutte le dichiarazioni che gli esponenti politici che si sono occupati di Alitalia da quando nel 2017 ha portato i libri in tribunale ed è di fatto passata sotto il controllo dello Stato sarebbe improponibile, ma quel che certo è che non una dichiarazione fatta sia dai Ministri che si sono succeduto al Mise e non solo al Mise, sia da passionari prestati alla politica che si sono occupati della vicenda poiché diventati esperti di settore in un men che non si dica si è mai rilevata avere un mimino di concretezza o di sano realismo. In altre parole, non uno tra comunicati stampa, post su Facebook o su Twitter rilasciati da membri del Governo o da parlamentari a loro vicini o da loro delegati ha mai avuto il minimo riscontro rispetto alla realtà dei fatti che sono accaduti e che stanno accadendo.
Un risultato concreto a dir la verità questa dissennata politica di accanimento terapeutico l’ha avuto, quello di far diventare Alitalia la compagnia più odiata dalla maggior parte degli italiani che vedono i soldi delle loro tasse evaporare in un pozzo senza fondo da ormai 4 anni e senza soluzione di continuità.
Il paradosso vero di questa situazione è che gli unici ad averne un vantaggio concreto sono i cosiddetti “fancazzisti” ovvero quei personaggi trasversali che operando di lobbying e di inciuci riescono a trarre profitto personale da una situazione ormai paradossale che loro hanno tutto l’interesse a far durare quanto più possibile per rimpinguare le loro tasche.
E in tutto questo si scopre che dopo aver dato tra sussidi diretti e indiretti quasi 2 miliardi all’amministrazione straordinaria i dipendenti di Alitalia potranno prendere i loro stipendi di dicembre solo se si inietteranno ulteriori denari a fondo perduto dei contribuenti italiani, in quel pozzo senza fondo che grazie a diversi politici e fancazzisti è oggi Alitalia. E, come se ciò non bastasse, mentre si consuma un dramma umano e sociale di queste proporzioni, quella che dovrebbe essere la nuova Alitalia presenta un guazzabuglio fatto dagli stessi che avevano fatto il Piano Fenice del 2008 che non può in alcun modo essere commentato in quanto già commentarlo vorrebbe dire trovare dei criteri logici e coerenti con il trasporto aereo in un insieme di poco più di 20 slide che con un piano industriale di un aerolinea non c’entrano davvero nulla.
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