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BORSE & MERCATI/ Gli indici e i panieri che fanno temere l’ondata ribassista

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BORSE & MERCATI/ Gli indici e i panieri che fanno temere l’ondata ribassista

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L’entrata a gamba tesa di Donald Trump sui negoziati commerciali, e non solo, tra Usa e Cina è stata vissuta decisamente male dai mercati finanziari. Le borse hanno avviato una brusca discesa, il ribasso per la seduta del 5 agosto dell’indice Nasdaq Composite è stato il maggiore del 2019, in generale si è assistito a una fuga dagli asset rischiosi per salire sul treno, già piuttosto affollato, di quelli definiti “sicuri”, come i bond americani e tedeschi che infatti hanno fatto registrare rendimenti ai minimi storici. Le obbligazioni che offrono un rendimento negativo hanno raggiunto in questi primi giorni di agosto il valore record di 13,4 trilioni di dollari: gli investitori sono disposti a pagare, invece che a ricevere un guadagno, pur di poter parcheggiare la propria liquidità in porti relativamente sicuri.

Il ribasso dei rendimenti dei bond a più lunga durata ha portato come effetto secondario un deciso ampliamento dello spread tra le scadenze a 3 mesi e quelle a 10 anni per i titoli del Tesoro statunitense, una situazione di “inversione” della curva dei rendimenti (quelli a breve normalmente sono più bassi di quelli a lungo termine, quando questo non avviene si parla appunto di “inversione” della curva dei rendimenti rispetto al suo andamento naturale) che, quando si manifesta, fa venire l’orticaria agli investitori dal momento che invariabilmente anticipa di qualche mese l’entrata in recessione per l’economia.

È evidente che questa situazione non può essere stata causata da un semplice messaggio di Trump: le borse si sono arrampicate negli ultimi mesi lungo una ripida china in salita, sconfessando tutte le previsioni di una loro caduta, anche perché effettivamente l’economia statunitense si è comportata sorprendentemente bene nei primi mesi dell’anno, e si sono aggrappate alla speranza, poi divenuta una realtà, di una virata a 180 gradi delle principali banche centrali, che sono passate da cerberi pronti a irrigidire la propria politica monetaria a miti gattini disposti invece a quasi tutto pur di evitare un rallentamento dell’economia. A un certo punto però è mancato loro il terreno sotto i piedi: vanno bene i tassi bassi, ma se l’economia globale rallenta, come sta facendo, come faranno le aziende a mantenere l’elevato tasso di crescita degli utili che ha caratterizzato gli ultimi anni?

È stato qui, quando si è iniziata a diffondere questa consapevolezza, anche a seguito delle trimestrali delle aziende Usa (risultati molto spesso superiori alle attese ma guidance per il futuro prudenti), che si è inserito il famigerato tweet di Trump, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Trump ha fatto la sua scommessa: alle presidenziali del 2020 vuole arrivare con la Cina al guinzaglio, anche se lungo, e con l’economia che mostra una dinamica positiva. Meglio quindi stringere i tempi e causare una frenata adesso, per poi sperare che le cose si aggiustino l’anno prossimo, piuttosto che arrivare al 2020 con i mercati finanziari impiccati e con i cinesi che tifano per una sua sconfitta. Come per tutte le scommesse si saprà solo a posteriori chi è il vincitore, intanto i mercati finanziari devono fare i conti con un’ipotesi sgradita, ovvero che il ribasso dello scorso anno sia stato solo l’anticamera di una nuova fase negativa che potrebbe svilupparsi adesso.

Il fatto che alcuni degli indici azionari Usa più seguiti avessero fatto registrare di recente nuovi record aveva rasserenato molti osservatori, ma a ben guardare sono stati molti i segnali nelle ultime settimane, o addirittura mesi, che facevano anticipare l’imminente inizio di un rallentamento. Per adesso effettivamente borse e materie prime hanno avviato una robusta correzione, ovvero un movimento contrario al precedente trend rialzista, e a, onore del vero, è prematuro parlare di una vera e propria inversione di tendenza, ma come accennato ci sono alcuni mercati che fanno temere che la flessione non sarà solo un fenomeno temporaneo.

L’indice delle small cap Usa, il Russell 2000 (le minori 2000 aziende comprese all’interno del più ampio Russell 3000), dopo il balzo registrato nei primi due mesi dell’anno, dai minimi di fine dicembre a 1267 circa ai massimi di fine febbraio a 1602 punti, si è mosso per vie laterali, mantenendosi molto al di sotto dei record dello scorso anno a 1742 punti. Le azioni di questo indice rappresentano le aziende che operano principalmente sul mercato interno, il suo andamento è quindi lo specchio dell’economia domestica degli Usa, che da alcuni mesi langue. Non è un caso se l’indice ISM (Institue for Supply Management) Manufacturing Purchasing Manager Index (PMI) relativo al mese di luglio è sceso a 51,2 punti dai 51,7 di giugno, più basso delle attese di 52 punti, mostrando una tendenza debole sia per i nuovi ordini, sia per le scorte, sia per le esportazioni. Per adesso il Russell 2000 si è mosso lateralmente, quindi è ancora possibile considerare questa fase come una semplice pausa del rialzo, ma se le quotazioni dovessero scendere al di sotto dei 1450 punti diverrebbe difficile continuare a essere positivi, almeno per il breve medio termine. Solo oltre i 1600 punti si tornerebbe a vedere il sereno.

Un altro paniere il cui andamento non è certo incoraggiante è l’MSCI Emerging Markets in dollari (MSCIEF), paniere dove la Cina pesa per un terzo circa del totale, la Corea per il 13%, Taiwan per l’11% circa, l’India per il 9%, il Brasile per il 7%, il Sud Africa per il 6% e la Russia per il 4% (il totale dei paesi è di 26). Anche in questo caso i massimi di aprile, a 1099 punti, sono molto al di sotto dei record di gennaio 2018 a 1279 circa. Il rimbalzo visto dai minimi di fine ottobre 2018 ha infatti percorso a ritroso (ritracciato) solo la metà circa della precedente discesa, una percentuale di rimbalzo che molto spesso sinonimo di un movimento solo correttivo, quindi non di un tentativo di contrastare la tendenza precedente, ma solo di una sua pausa. Sul grafico di questo indice si è completato con il violento ribasso del 5 agosto un “testa spalle di continuazione”, un elemento che sembra confermare l’ipotesi che negli ultimi mesi si sia assistito solo a un’interruzione temporanea del downtrend. Sotto i minimi di ottobre a 930 punti, ormai pericolosamente vicini, verrebbe confermata la ripresa del trend ribassista con obiettivi fino agli 800 punti almeno. Solo oltre area 1060/70 il quadro prospettico tornerebbe ad essere positivo.

Preoccupante, nel contesto generale dei mercati finanziari, anche la brusca accelerazione al ribasso dell’ETF iShares iBoxx $ High Yield Corporate Bond (HYG), paniere che riproduce l’andamento delle obbligazioni corporate a più alto rischio. Dalle oscillazioni di questo Etf è possibile ricavare il sentiment generale del mercato: quando le sue quotazioni salgono si può parlare di una modalità “risk on” da parte degli investitori, viceversa quando vira al ribasso si manifesta una modalità “risk off”. La bella salita vista dai minimi di dicembre a 79,55 si è interrotta il 20 giugno a 87,65 punti, quota dalla quale è iniziata una veloce discesa che ha comportato la violazione, il 5 agosto, della linea di tendenza che sale dai minimi di dicembre 2018.

Fino a che le quotazioni rimarranno al di sotto di area 87 lo scenario più probabile rimarrà quello ribassista: lo strumento è sceso al di sotto della media mobile esponenziale a 200 giorni, un indicatore che con la sua posizione rispetto ai prezzi sintetizza la condizione del trend di medio periodo, che è quindi ora valutata negativamente.

E la media a 200 giorni gioca un ruolo importante anche per il quadro grafico del Nasdaq Composite. Questo paniere è caratterizzato da una elevata presenza di titoli ad alto Beta, ovvero capaci di amplificare, nel bene o nel male, gli stimoli che provengono dal mondo estero, e reagisce quindi con maggiore velocità rispetto allo S&P500 ai cambiamenti del vento dei mercati. Il Nasdaq è sceso in area 7720 a testare la media mobile esponenziale a 200 sedute, un indicatore che difficilmente è stato superato negli ultimi anni senza che si realizzassero mutamenti duraturi dell’orientamento della tendenza. Se i prezzi dovessero stabilizzarsi al di sotto dei 7720 punti nel corso delle prossime 1/2 settimane diverrebbe probabile quindi una discesa potenzialmente simile a quella del 2018. Solo in caso di recuperi oltre area 8100 il timore di una fase prolungata di ribasso verrebbe notevolmente ridimensionato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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